Motivazioni per unire il gruppo: Dalla taverna al worldbuilding

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Sabato mattina, il nostro gruppo di appassionati di GDR si è lanciato in una vivace conversazione su un tema fondamentale: come fornire una motivazione convincente ai personaggi per lavorare insieme. Ecco un riassunto delle nostre chiacchierate, piene di esempi, esperienze e qualche divergenza d’opinione.

Un inizio condiviso

Yuri ha aperto le danze chiedendo se avessimo esempi di motivazioni da dare al gruppo. Lui di solito lascia che i giocatori scelgano una motivazione iniziale, anche se debole come “siamo amici d’infanzia”, e poi aggiunge un motivo più significativo durante la prima sessione. Un esempio tratto dalla sua campagna di “Changeling” ambientata a Genova: i personaggi erano attaccati da una misteriosa donna e i suoi scagnozzi, senza sapere perché.

Alessio ha risposto che anche il suo master adotta un approccio simile, lasciando ai giocatori la scelta ma fornendo suggerimenti basati sull’ambientazione. Questo permette di creare scene e situazioni legate ai personaggi che si sviluppano con il progredire delle sessioni.

One-Shot e Cliché

Roberto ha condiviso che, per le one-shot, preferisce stabilire lui stesso la motivazione, spesso con una soluzione semplice come appartenere a una squadra. Ha ammesso di aver utilizzato il cliché della taverna solo la prima volta, trovandolo inutile per l’economia del gioco. Tuttavia, riconosce che, in contesti come “OD&D”, la taverna ha senso come luogo per incontrare i patroni e ricevere incarichi.

Yuri ha confermato che nelle sue campagne “West Marches” pseudo-mediorientali, la taverna serviva come punto di passaggio per elencare le missioni disponibili, senza però giocare la scena.

Narrazione emergente: un tema controverso

Andrea ha raccontato un’esperienza particolare in una one-shot. Nonostante avesse informato i giocatori che potevano modificare l’ambientazione tramite proposte, uno di loro ha abbandonato la sessione, affermando che non era un modo giusto di giocare. Questo ha aperto un dibattito sulla narrazione emergente.

Roberto ha espresso la sua visione: il mondo di gioco dovrebbe esistere indipendentemente dalle interazioni. Ha fatto un esempio concreto con una porta bloccata in un dungeon: i giocatori possono trovare soluzioni alternative, ma non possono contraddire una verità del gioco pre-stabilita.

Alessio ha concordato, aggiungendo che i giocatori possono essere proattivi riguardo l’ambientazione ma senza stravolgere ciò che il master ha creato. Ha citato giochi come PbtA e Fate, dove l’input dei giocatori è benvenuto ma all’interno di certi limiti.

Diverse visioni sul worldbuilding

Andrea ha spiegato che nella sua ambientazione, un mondo di realtà multiple aumentate, aveva permesso modifiche per accentuare la sensazione di incertezza. Ha chiesto però quale fosse il problema di applicare questo approccio anche in giochi come D&D.

Roberto ha risposto che D&D è un gioco d’avventura centrato sull’esplorazione e la risoluzione di problemi, e non sulla costruzione condivisa del mondo. Ha precisato che, mentre alcuni giochi permettono questa modalità, in D&D è importante mantenere la coerenza del mondo di gioco stabilito dal master.

Nicola ha aggiunto che modificare leggi fisiche o macrosistemi può compromettere la coerenza interna del gioco, elemento fondamentale per una narrazione immersiva.

Conclusione

La discussione ha evidenziato diverse filosofie di gioco: dall’importanza della coerenza e della preparazione del master alla possibilità di narrazione emergente. È chiaro che ogni gruppo deve trovare il proprio equilibrio, adattando le regole alle proprie preferenze per creare un’esperienza di gioco appagante e coinvolgente.