Roberto ha avviato il dibattito facendo un interessante confronto tra l’approccio anglosassone e quello europeo nell’interpretare le regole. Notava come, nel mondo anglofono, le regole dei GDR sono spesso trattate con una flessibilità simile a quella dei sistemi di common law, dove la pratica e i precedenti hanno il peso di plasmare l’interpretazione. In particolare, nei circoli indie dei GDR, i giochi vengono progettati per essere esperienze ripetibili, con regole da seguire alla lettera come intese dall’autore. Tuttavia, al di fuori di questa nicchia, la maggior parte dei tavoli tende a trattare le regole come linee guida, adattabili alle circostanze.
Roberto ha evidenziato come nel sistema anglosassone, le leggi fungano da quadro di riferimento, ma siano le sentenze a definire come vengono applicate. Questo ricorda molto l’abitudine dei master di gioco di modificare le regole in base alla pratica, creando un sistema che evolve in base alle esigenze dei giocatori. La flessibilità è fondamentale, e ciò permette di consolidare un modo di giocare che si adatta a ciò che il tavolo trova più efficace.
Al contrario, nella tradizione di civil law, predominante in Europa e in Italia in particolare, c’è molta più rigidità. Roberto ha spiegato che questa mentalità influenza anche l’approccio dei giocatori italiani ai regolamenti dei GDR. Qui ogni modifica deve passare per un processo formale, esattamente come accade per le leggi. Ha citato l’esempio di Eroica Evoc, dove i giocatori non si limitano a modificare le regole a loro piacimento, ma chiedono all’autore di cambiare il regolamento per tutti. Questo approccio, radicato nella necessità di uniformità, può portare a frustrazioni, soprattutto quando i singoli vorrebbero più libertà di personalizzazione.
Roberto ha espresso il suo disappunto per questa rigidità, trovando ironico che, nonostante il sistema legale formale, gli italiani riescano sempre a trovare modi per aggirare le norme. Applicare lo stesso approccio rigido ai GDR, per lui, non ha senso: perché passare attraverso il processo ufficiale di modifica delle regole, quando ogni tavolo potrebbe adattarle come preferisce? Secondo lui, un approccio più flessibile, simile a quello della common law, renderebbe i giochi più fluidi e godibili.
Invernomuto ha poi fatto un interessante paragone con il rugby, uno sport tipicamente anglosassone. Nel rugby, l’arbitro ha un’enorme discrezionalità nell’interpretare e applicare le regole in tempo reale, e le sue decisioni sono finali e incontestabili. Contrariamente ad altri sport, l’arbitro nel rugby spiega apertamente le sue decisioni ai giocatori e al pubblico, utilizzando un microfono per garantire trasparenza. Questo forte potere arbitrale riflette il ruolo del master di gioco nei GDR, dove le decisioni possono essere finali e non aperte a discussione, un concetto lontano dalla cultura italiana, dove ogni regola viene discussa e contestata.
Invernomuto ha anche portato un esempio specifico legato ai GDR, confrontandolo con un bug famoso in Elder Scrolls, dove i giocatori potevano sfruttare una meccanica del gioco per rubare senza essere scoperti mettendo un secchio sulla testa di un PNG. Ha paragonato questo a una regola obsoleta presente in uno dei giochi di Roberto, che pur essendo un “vezzo”, è ormai considerata parte integrante del sistema e non viene cambiata, proprio come il bug diventato famoso.
BICrumw ha concluso il discorso, condividendo il suo accordo con gli altri e sottolineando come la rigidità di alcune comunità GDR porti a una sorta di mentalità chiusa. Ha richiamato la sua esperienza nel rugby, notando come in quel gioco non sia sempre la palla al centro dell’attenzione, un concetto che riflette un approccio più fluido e adattivo, sia nello sport che nei giochi.
Alla fine, la discussione ha evidenziato un profondo divario culturale su come le regole dei GDR vengono trattate. La tradizione anglosassone consente una pratica dinamica e in evoluzione, mentre quella europea, soprattutto in Italia, pone un’enfasi sulla struttura e l’emendamento formale.