Background tossici

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Il giocatore che rompe il mondo (e non se ne accorge)

Nel gioco di ruolo, i background dei personaggi sono uno strumento potente. Offrono spunti, legano i PG al mondo, creano traiettorie drammatiche. Ma come ogni strumento potente, se usato male può fare danni. A volte anche irreparabili.

Non è raro che un giocatore, in buona fede, scriva un retroterra personale che introduce razze inesistenti, portali dimensionali, imperi mai menzionati, capacità fuori scala o conoscenze che scavalcano l’intera ambientazione. Lo fa per arricchire la storia del suo personaggio, per renderlo “interessante”, “diverso”, “profondo”. Ma il risultato, molto spesso, è che rompe il mondo di gioco.

E nella maggior parte dei casi, non se ne accorge nemmeno.

Il background non è un override

C’è un’idea sottesa, mai detta apertamente, secondo cui il background sia uno spazio libero. Come se, in quella porzione di pregioco, il giocatore avesse pieni poteri. Ma questo è un equivoco pericoloso.

Il background è un contributo, non un override. Non può ridefinire l’ambientazione, né introdurre elementi che il tavolo non ha discusso. Un giocatore non può semplicemente dichiarare che esistono portali interdimensionali, o che è il figlio segreto dell’imperatore, o che ha viaggiato nel tempo. Non se il gioco non lo prevede. Non se nessuno l’ha messo sul tavolo prima.

Il caso del portale interdimensionale

Un esempio emblematico è emerso nella conversazione che ha ispirato questo articolo: durante una campagna fantasy, un giocatore rivela improvvisamente di provenire da un altro mondo, di conoscere l’esistenza di un portale segreto, e di volerci tornare per chiedere aiuto a un vecchio alleato.

Il problema non è solo la portata dell’elemento introdotto (un portale segreto tra dimensioni), ma il modo in cui è stato introdotto: senza preavviso, senza confronto, e con un impatto potenzialmente dirompente sulla coerenza dell’ambientazione.

Il Master, colto alla sprovvista, prova a riassorbire l’elemento nella trama con qualche contromossa (il portale è sorvegliato da nemici, è parte del piano del villain, ecc.). Ma il danno è fatto. Non solo narrativo, ma strutturale: è stato rotto il contratto implicito sui ruoli.

La sessione zero non è opzionale

Questa dinamica si verifica soprattutto quando manca (o è fatta male) la sessione zero. Quel momento iniziale in cui si definiscono le aspettative, le regole implicite, i toni e – soprattutto – i limiti del mondo.

Una sessione zero efficace dovrebbe rendere impossibile che un background simile passi inosservato. Dovrebbe chiarire:

  • Qual è l’orizzonte di possibilità dell’ambientazione
  • Che tipo di agenzia narrativa è concessa ai giocatori
  • Chi decide cosa esiste nel mondo

Se queste cose non sono dette in anticipo, il fraintendimento è garantito. E spesso si scarica tutto sulle spalle del GM, che si trova costretto a fare da filtro posticcio, mediatore e rattoppo ambulante.

Ma non è questione di controllo

Attenzione, il punto non è “vietare” i background creativi. Il punto è stabilire se stanno dentro le regole del gioco e del mondo condiviso. Un Master può accettare qualsiasi cosa, anche un personaggio che viene da un altro piano di esistenza, ma deve saperlo prima, e decidere se e come integrarlo.

Altrimenti, il giocatore sta esercitando un’autorità narrativa che non gli spetta. E anche se lo fa in buona fede, sta scavalcando il tavolo.

Non è una questione di controllo. È una questione di rispetto.

Conclusione

Il background non è un luogo neutro. Non è una fanfiction autonoma. È un contributo che va accordato con il resto della tavolata. Altrimenti diventa tossico: mina la coerenza, rompe i ruoli, e avvelena la fiducia.

Un buon giocatore scrive un background che risuona con il mondo, non che lo riscrive.
Un buon Master lo legge, lo integra, o lo rifiuta.
Un buon gruppo ne parla prima, non quando è troppo tardi.

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