La nostra lettura del Quick Start di Cyberdark, edito da MS Edizioni, ha suscitato più perplessità che entusiasmo. La speranza era quella di trovare finalmente una declinazione funzionante del cyberpunk nei giochi di ruolo, perché “cyberpunk” oggi sembra significare tutto e niente. Il genere ha preso una direzione che molti non riconoscono più come autentica: gruppi di folli sempre più borderline che sparano a qualsiasi cosa si muova, sperando che da qualche parte spunti una katana.
Shadowdark sembrava un buon punto di partenza. L’idea di prendere quella componente OSR, quella sintesi efficace della parte più crunch di D&D per quanto riguarda combattimenti e armamentario, e adattarla al cyberpunk, poteva funzionare. Shadowdark mitiga la complessità di Advanced D&D mantenendo un’esperienza solida. Ma il cyberpunk è una piccolissima fetta di un tipo di ambientazione, un insieme di tropi narrativi specifici che richiedono meccaniche dedicate.
La realtà del Quick Start di Cyberdark è però deludente. Zero esplorazione, zero coerenza. Il primo problema è l’ambientazione, o meglio, la sua completa assenza dove dovrebbe essere. Gli autori hanno adottato uno pseudo-linguaggio “cyberpunkese” di totale inutilità. Frasi piene di aggettivi insignificanti che nascondono parti cruciali della meccanica e dell’ambientazione. Nel cyberpunk, il cyberspazio è fondamentale. Ma se lo chiami “Cyberdark” in un punto, in un altro modo altrove, diventa impossibile capire di cosa si stia parlando.
L’arcano si svela solo a pagina 44, alla fine del manuale. Due paginette che spiegano l’ambientazione: un mondo devastato, qualcosa che sta sopra la Terra ma non si capisce se sia una stazione orbitale fluttuante o appoggiata. Lì finalmente si scopre cosa significano gli acronimi usati prima, come il PAM, che definisce cosa intendono per cyberspazio. Nel cyberpunk, il cyberspazio varia da autore ad autore, da film a film—è un genere con molti padri—ma deve essere chiaro fin dall’inizio.
Molte meccaniche sono comprensibili solo se hai già letto Shadowdark. Tutta quella “fuffa” che parla di glitch è semplicemente un reskin delle magie di Shadowdark. Paradossalmente, mentre Shadowdark era forte perché eliminava le distanze precise usando Far, Near e Close, Cyberdark le reintroduce dalla finestra con metrature specifiche. Se devi dire “9 metri”, perché non usarlo direttamente?
Ma il problema più grave è la perdita dell’identità del sistema originale. Shadowdark si chiama così perché il buio fa paura. È una scelta che permea tutto il sistema: le ancestry non hanno scurovisione, i mostri attaccano chi ha la luce, la meccanica della torcia in tempo reale crea tensione e metagaming. Si chiama Shadowdark per un motivo preciso. Cyberdark perde completamente questo elemento. Il nome richiama l’oscurità, ma non c’è nessuna meccanica legata al buio, nessun concetto di paura, stress o bug che sostituisca quella tensione.
Nemmeno l’arsenale rispecchia le aspettative: tre tipologie di armi (fucile, pistola, forse una katana), e basta. Non c’è quella varietà e personalizzazione che ci si aspetterebbe dal cyberpunk. E per finire, una delle missioncine strizza l’occhio in modo palese a Mörk Borg, con una zona che sta per collassare mentre i personaggi giocano contro il tempo.
La domanda finale è inevitabile: che cosa stiamo giocando? Questa confusione solleva una questione più ampia e fondamentale: il design di un gioco dovrebbe partire dai tropi che definiscono un genere o dalle meccaniche esistenti? La risposta determina la differenza tra un’esperienza di gioco autentica e un reskin superficiale che non funziona.
Il Design Parte dai Tropi, Non dalle Meccaniche
Un genere è costituito da temi ricorsivi, elementi narrativi e dinamiche che si ripresentano costantemente nelle opere che lo definiscono. Il compito del designer è identificare questi tropi fondamentali e poi comprendere quale sistema di regole riesce a supportarli al meglio. Questo approccio “dal genere alle meccaniche” rappresenta l’unico modo per creare un’esperienza di gioco autentica e coerente.
Quando invece si parte dalle regole e ci si limita ad “appicciccare” sopra un’ambientazione diversa, il rischio è produrre un’esperienza frammentata dove le meccaniche sabotano la fiction che si sta cercando di creare. Cyberdark sembra cadere esattamente in questa trappola: prende un sistema eccellente per il fantasy dungeon crawling e tenta di trasformarlo in cyberpunk cambiando nomi e ambientazione, ma senza ripensare le meccaniche fondamentali.
I Tropi Fondamentali del Cyberpunk
Per comprendere dove si verifica il cortocircuito, è necessario analizzare concretamente i tropi che caratterizzano il genere cyberpunk. Questi elementi ricorsivi non sono semplici decorazioni narrative, ma costituiscono l’essenza stessa di ciò che rende il cyberpunk riconoscibile e distintivo.
Il cyberpunk presenta innanzitutto un’ambientazione urbana ben precisa: grandi metropoli degradate, stratificate in classi sociali nettamente separate, dove criminalità, megacorporazioni onnipotenti e corruzione sistemica dominano la scena. Queste città non sono semplicemente sfondi, ma rappresentano l’incarnazione fisica delle disuguaglianze e del controllo sociale.
Il secondo elemento fondamentale è il contrasto tra tecnologia avanzata e condizione umana. Gli innesti cibernetici, l’intelligenza artificiale, la realtà virtuale (spesso chiamata Matrice o cyberspazio) si scontrano con questioni di identità, transumanesimo e perdita dell’essenza umana. Questo contrasto genera un terreno fertile per esplorare cosa significhi essere umani in un mondo dominato dalla tecnologia.
Le megacorporazioni operano come entità oppressive, simboli di un capitalismo sfrenato che ha superato i governi nazionali in termini di potere e influenza. Queste organizzazioni controllano non solo l’economia, ma anche la politica, la società e persino l’identità degli individui.
I protagonisti tipici del cyberpunk sono hacker, netrunner o outsider solitari che combattono contro il sistema. Caratterizzati da un forte senso di alienazione, operano in un mondo di sorveglianza pervasiva, cercando di mantenere uno spazio di libertà in una società che li vuole controllare.
L’invasione del corpo attraverso protesi, bioingegneria e modifiche cibernetiche, insieme all’invasione della mente tramite interfacce cervello-computer e controllo mentale, costituiscono temi centrali. Queste tecnologie non sono semplici potenziamenti, ma rappresentano una continua negoziazione tra miglioramento e perdita di umanità.
A livello filosofico, il cyberpunk esplora questioni esistenziali profonde: cosa significhi essere umani in un mondo dominato dalla simulazione, temi di paranoia, derealizzazione e una forma peculiare di romanticismo grottesco. Sul piano sociale, emergono tematiche di lotta di classe, consumismo estremo, degrado ambientale e critica alle disuguaglianze strutturali.
I Tropi Emergenti dalle Meccaniche di D&D
Per comprendere perché i sistemi derivati da D&D (inclusi quelli OSR) possano faticare ad adattarsi al cyberpunk, è necessario analizzare quali tropi emergono naturalmente dalle meccaniche del gioco più iconico del fantasy. D&D non è solo un sistema di regole neutro: le sue meccaniche codificano e rinforzano specifiche dinamiche narrative che definiscono il fantasy eroico.
Il mondo di D&D è suddiviso in razze fantasy iconiche: elfi, nani, orchi, draghi, goblin, ciascuna con culture e caratteristiche distintive. Questo elemento non è semplicemente cosmetico, ma riflette una visione del mondo basata su essenze fisse e destini predeterminati.
La lotta eterna tra bene e male costituisce il motore narrativo principale, incarnata da campioni eroici che si oppongono a forze oscure come demoni, non morti o tiranni malvagi. Le meccaniche di allineamento morale codificano questo dualismo direttamente nel sistema di gioco.
L’avventura in D&D si configura primariamente come esplorazione di dungeon, rovine, castelli o terre selvagge piene di pericoli, tesori e misteri da svelare. La progressione attraverso questi spazi fisici definisce gran parte dell’esperienza di gioco. Shadowdark eccelle in questo: l’esplorazione sotterranea, il cercare fortuna nei dungeon sperando di uscirne vivi.
Il party di avventurieri con ruoli distinti—guerriero, mago, ladro, chierico—che cooperano per superare sfide rappresenta il modello sociale fondamentale. Questa struttura di classe rigida determina le capacità e il ruolo di ciascun personaggio in modo relativamente fisso.
La magia occupa un ruolo centrale: maghi potenti che detengono conoscenze arcane, divinità che intervengono negli affari mortali, artefatti magici leggendari. Il sistema di magia vanciana, con i suoi slot di incantesimi e la preparazione giornaliera, struttura il ritmo stesso dell’avventura.
Il viaggio dell’eroe che cresce in abilità e forza attraverso il livellamento, affrontando prove progressive, costituisce la struttura di progressione. Questa curva di potere porta i personaggi da avventurieri comuni a figure sempre più potenti.
I tropi narrativi classici—il prescelto, il traditore, l’antica profezia, il salvataggio del mondo—emergono naturalmente da queste meccaniche. Il sistema stesso spinge verso narrative epiche e grandiose.
Il Problema della Conversione
Dati i tropi che caratterizzano questi due generi profondamente diversi, emerge la domanda fondamentale: un regolamento basato su D&D o sui suoi derivati OSR può davvero supportare la fiction del cyberpunk?
La risposta è sostanzialmente negativa, e Cyberdark ne è un esempio istruttivo. Non si tratta di un semplice disaccordo estetico, ma di una incompatibilità strutturale tra le meccaniche derivate dal fantasy e le esigenze narrative del genere cyberpunk.
Il sistema di classi presuppone ruoli fissi e progressioni prestabilite. Nel cyberpunk, invece, i personaggi si definiscono attraverso scelte modulari di potenziamenti, abilità e cyberware. Un netrunner non è una “classe” da cui non ci si può discostare, ma un insieme di competenze e tecnologie che possono essere combinate in modi infiniti.
La progressione eroica porta i personaggi da comuni mortali a figure leggendarie. Il cyberpunk, al contrario, mantiene i personaggi vulnerabili e mortali: il combattimento è letale, rapido e brutale. Un singolo colpo può essere fatale, il che incoraggia un approccio tattico e cauto. Questa letalità non è un difetto, ma un elemento essenziale che riflette il tema della fragilità umana in un mondo ostile.
Il sistema di magia vanciana con slot giornalieri e preparazione è totalmente estraneo al cyberpunk. Cyberdark sostituisce meccanicamente “incantesimi” con “glitch” o “programmi”, ma questo non cattura l’essenza dell’hacking cyberpunk. Il netrunning richiede sistemi di intrusione, contromisure elettroniche (ICE), architetture di rete navigabili. Le meccaniche devono riflettere la natura conflittuale e rischiosa dell’accesso illegale ai sistemi informatici.
Il modello di avventura basato su dungeon, con incontri bilanciati e tesori distribuiti secondo curve di progressione, non si adatta alla natura urbana, sociale e politicamente complessa del cyberpunk. Le “missioni” cyberpunk sono operazioni di infiltrazione, sabotaggio, furto di dati, dove il combattimento è spesso l’ultima risorsa o il segno di un piano fallito. L’esplorazione sotterranea che funziona magnificamente in Shadowdark non ha equivalente diretto nel cyberpunk.
Il sistema economico e di equipaggiamento assume una disponibilità crescente di risorse magiche e tesori. Nel cyberpunk, l’economia riflette la lotta di classe: il cyberware costa caro, le corporazioni controllano l’accesso alle risorse, e i personaggi operano costantemente ai margini della società.
Convertire sistemi fantasy per il cyberpunk richiede quindi riscrivere così tanto del sistema da risultare più laborioso che imparare un gioco nuovo, specificamente progettato per il genere. La comunità di designer concorda su questo punto: bisogna usare lo strumento giusto per il lavoro giusto. I tentativi di conversione documentati mostrano che il risultato finale tradisce sia il sistema originale sia il cyberpunk, perdendo l’identità meccanica e narrativa di entrambi.
Come sottolineato dalla comunità dei designer, adattare altri generi a D&D significa “adattare il genere a D&D”, non “adattare D&D al genere”. Questa distinzione è cruciale: sistemi come Shadowdark funzionano ottimamente per specifici mood e generi, e cercare di modificarli troppo profondamente è un errore.
OSR e Cyberpunk: Una Questione di Filosofia
Il movimento Old School Revival (OSR) presenta una relazione più complessa e sfumata con il cyberpunk, ed è qui che prodotti come Cyberdark entrano nella discussione. La questione chiave è distinguere tra un semplice reskin superficiale e un’applicazione genuina della filosofia OSR a un’ambientazione diversa.
I giochi OSR cyberpunk ben progettati condividono la filosofia fondamentale del movimento—letalità, agency del giocatore, struttura sandbox—ma abbandonano le meccaniche specifiche di D&D che contraddicono il genere. Questo significa eliminare classi rigide, progressione eroica e il sistema di magia vanciana.
Se un gioco OSR cyberpunk cerca semplicemente di convertire D&D sostituendo “incantesimi” con “programmi” e “dungeon” con “arcologie”, rimane un reskin forzato che non cattura né l’essenza dell’OSR né quella del cyberpunk. Cyberdark sembra cadere in questa trappola: i glitch sono magie reskin, le distanze vengono reintrodotte in metri contraddittoriamente, e il tema centrale di Shadowdark—il buio, la torcia, la tensione—scompare completamente.
Shadowdark si chiama così perché l’oscurità è parte integrante del sistema: le ancestry non hanno scurovisione, i mostri attaccano chi porta la luce, la meccanica della torcia in tempo reale crea stress autentico. Cyberdark perde tutto questo. Il nome richiama l’oscurità, ma non c’è nessuna meccanica che la supporti, nessun equivalente tematico che sostituisca quella tensione caratteristica.
Ma se un gioco ricostruisce il sistema da zero mantenendo solo i principi OSR fondamentali—privilegiare l’abilità del giocatore rispetto alle statistiche del personaggio, narrativa emergente, letalità, esplorazione sandbox—può effettivamente funzionare.
La comunità OSR ha prodotto diversi titoli interessanti che adottano questo approccio più onesto. Giochi come Stars Without Number con il supplemento Polychrome dimostrano come i principi OSR possano essere applicati a setting non fantasy mantenendo coerenza meccanica e tematica. Wired Neon Cities, Dancing With Bullets Under a Neon Sun, e Zaibatsu rappresentano altri tentativi di creare esperienze cyberpunk autentiche utilizzando filosofie OSR o derivate.
Questi giochi funzionano perché comprendono che l’OSR non è “D&D ma vecchio”, ma piuttosto un insieme di principi di design che possono essere applicati a sistemi diversi. La letalità del combattimento cyberpunk si allinea perfettamente con la filosofia OSR dove le scelte intelligenti contano più delle statistiche. L’esplorazione della Matrice può funzionare come l’esplorazione di un dungeon, ma richiede meccaniche progettate specificamente per quel contesto.
Conclusione: Design Onesto vs. Conversioni Forzate
Il dibattito sulla conversione di sistemi fantasy per altri generi rivela una verità più ampia sul game design: le meccaniche non sono mai neutrali. Ogni sistema codifica assunzioni specifiche sul tipo di storie che vuole raccontare, sul ritmo del gioco, sul bilanciamento tra combattimento e altri pilastri dell’esperienza, sulla fragilità o invulnerabilità dei personaggi.
Quando un designer identifica i tropi fondamentali di un genere e costruisce meccaniche che li supportano organicamente, il risultato è un’esperienza coerente dove fiction e regolamento si rafforzano a vicenda. Quando invece si cerca di forzare un genere in un sistema progettato per tutt’altro, si ottiene un’esperienza frammentata dove le meccaniche sabotano costantemente la fiction che si sta cercando di creare.
Il cyberpunk richiede sistemi che modellino la vulnerabilità umana, la modularità delle modifiche corporee, la complessità dell’hacking, la natura urbana e politica delle missioni, l’economia di una società distopica. I sistemi fantasy, anche quelli OSR eccellenti come Shadowdark, modellano l’esplorazione di dungeon, la gestione delle risorse (come la torcia), il buio come elemento di tensione, la lotta contro mostri in ambienti sotterranei.
Questi non sono difetti dei sistemi fantasy: sono caratteristiche intenzionali che li rendono eccellenti per il loro genere di riferimento. Shadowdark è un ottimo gioco per quello che vuole essere. Ma pretendere che funzioni altrettanto bene per il cyberpunk senza ripensare radicalmente le meccaniche significa fraintendere sia Shadowdark sia il cyberpunk stesso.
La lezione finale è che il design di giochi di ruolo dovrebbe essere onesto: identificare cosa si vuole ottenere, quali tropi si vogliono esplorare, e poi costruire o scegliere il sistema che meglio supporta quella vision. È un lavoro più impegnativo che semplicemente reskinare l’unico sistema che si conosce, ma produce risultati infinitamente superiori.
Nel panorama contemporaneo esistono centinaia, forse migliaia di sistemi di gioco diversi. La sfida non è piegare un sistema inadatto alla propria vision, ma trovare o creare quello giusto. Cyberdark rappresenta un caso istruttivo di cosa succede quando si sceglie la strada del reskin: si perde l’identità del sistema originale (l’esplorazione, il buio, la tensione della torcia) senza guadagnare quella del genere target (il cyberspazio, l’hacking, la modularità del cyberware, la complessità urbana). Il risultato è un prodotto che lascia la domanda: “Che stiamo a giocare?”.
