L’arbitro e il mondo

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Perché il Master non è un co-narratore, ma un garante

C’è un’idea sempre più diffusa nel discorso contemporaneo sul gioco di ruolo: che il Master (o GM) non debba più “controllare” il mondo, ma solo facilitare una narrazione condivisa. In molti casi, questo si traduce in una pratica concreta: chiedere ai giocatori di riempire pezzi di ambientazione, inventare PNG sul momento, o descrivere luoghi che il Master non ha previsto. Tutto in nome della “collaborazione narrativa”.

Ma c’è un problema. In un gioco asimmetrico, dove il Master ha un ruolo distinto, questa delega non è collaborazione. È abdicazione.

L’arbitro non crea con te, reagisce a te

Il Master non è un autore che racconta una storia da solo, né uno scenografo che sistema il palco su richiesta. Il suo compito è mantenere la coerenza del mondo e l’imparzialità del giudizio. È la terza parte che tiene insieme le conseguenze, i limiti, le risposte di un mondo autonomo a ciò che i personaggi fanno.

Quando un GM chiede: “Questo PNG lo conosci tu?”, oppure “Com’è fatta questa stanza? Descrivila tu”, sta spostando il baricentro del gioco. In apparenza sembra coinvolgere i giocatori. Ma in realtà, li sta caricando di una responsabilità che non è loro. La distinzione di ruoli viene meno, e con essa anche la coerenza sistemica che dovrebbe tenere insieme il gioco.

Non è worldbuilding condiviso, è deresponsabilizzazione

Collaborare all’ambientazione non è sbagliato in sé. Esistono giochi pensati per farlo, con strumenti strutturati (Microscope, Archipelago, Wanderhome). Ma questi giochi definiscono in anticipo i confini di autorità narrativa, spesso attraverso sessioni zero dettagliate e regole precise su chi può dire cosa e quando.

Quando invece, in un gioco classico con GM (come D&D), si adotta un metodo simile in modo estemporaneo e disordinato, si rischia la disfunzione. Il Master si libera del carico decisionale, i giocatori improvvisano su territori che non conoscono, e il mondo si svuota di significato. A quel punto non si esplora più qualcosa: si lo inventa a caso.

E se tutto è possibile, niente è significativo.

Il problema del “GM pigro”

Manuali come La Guida del Dungeon Master Pigro (The Lazy Dungeon Master) promuovono l’idea che si possa costruire una sessione senza preparazione, affidandosi all’improvvisazione e alle proposte dei giocatori. Ma spesso questa “pigrizia” diventa una scusa per non assumersi la responsabilità dell’arbitraggio.

Non è solo questione di lavoro: è questione di ruolo. Il Master non è tenuto a sapere ogni dettaglio, ma è tenuto a decidere quando una cosa ha senso e quando no. Se cede questa facoltà, il mondo perde peso. Tutto diventa un collage arbitrario di idee individuali senza un referente stabile.

Il confine tra partecipazione e confusione

Collaborare non vuol dire rompere i ruoli. Un giocatore può proporre un aggancio per il suo personaggio (es. “vengo da questa città, potrei avere un contatto lì”), ma è il Master a decidere se e come quell’elemento esiste nel mondo. È il GM che integra, adatta, risponde. Non deve chiedere al giocatore: “Conosci qualcuno?” ma piuttosto dire: “Conosci qualcuno. Ti dirò chi è, e poi vedremo che succede.”

Questo non nega la collaborazione: ne tutela la coerenza.

Esempi disfunzionali

Un giocatore dichiara all’improvviso che il suo personaggio viene da un mondo parallelo, conosce un portale segreto e vuole tornarci. L’ambientazione non prevedeva nulla del genere. Il GM resta spiazzato: accetta l’input per non rompere il ritmo, ma poi è costretto a riassorbire forzatamente l’incoerenza, inserendo nemici che presidiano il portale e alterando la trama.

Ma la verità è semplice: quel giocatore ha oltrepassato un confine. Ha deciso per il mondo, non per il suo personaggio.

E questo è sempre, senza ambiguità, compito del Master.

Conclusione

Il GM non è un demiurgo dispotico. Ma non è nemmeno un notaio silenzioso che timbra tutto ciò che viene proposto. Il suo ruolo è essere il garante della reattività e della coerenza. È il mondo che risponde, non che si modella a piacimento.

Rinunciare a questo ruolo non è collaborazione. È confusione.

E quando tutto è condiviso senza criterio, nulla è davvero condiviso. Solo mescolato.

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