Una riga basta: il valore invisibile del feedback

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C’è una cosa che ormai ho imparato, ed è sorprendente quanto sia semplice e allo stesso tempo sottovalutata: un piccolo feedback vale più di qualunque metrica. Più dei download, più dei like, più delle statistiche. Una singola riga di commento sincero può fare la differenza.

Mi spiego meglio: sapere che ci sono tre o quattro persone che leggono davvero quello che fai, che lo giocano, che ci riflettono sopra, che ti lasciano un messaggio — anche solo un “Mi è piaciuta questa parte” o “Sto provando a usarlo così” — cambia tutto. Perché da lì nasce un dialogo. E dove c’è dialogo, nasce valore, connessione, evoluzione creativa.

Il punto, però, è che questo tipo di feedback è rarissimo.

Il silenzio attorno al fuoco creativo

Vale in ogni campo creativo. Non solo nel mondo dei giochi di ruolo, dove opero io, ma in tutto ciò che nasce da una spinta espressiva: podcast, libri, illustrazioni, microgiochi, esperimenti. L’assenza di risposta è il rumore bianco che accompagna la pubblicazione di qualsiasi cosa. Ed è strano, perché non servirebbe molto. Non sto parlando di recensioni lunghe, articolate, o di endorsement da vetrina. Basterebbe una riga. Una.

“L’ho sfogliato, sembra interessante.”
“Ho letto le prime pagine, mi ha colpito questo passaggio.”
“Lo sto giocando, anche se non ho ancora un’opinione.”

Tutte queste cose sono piccole, ma per chi crea sono enormi. Sono segni di vita, prove di esistenza nel vuoto dell’iperproduzione.

Il paradosso dell’abbondanza

Lo capisco: c’è troppo in giro. Viviamo in un’epoca di sovraccarico di contenuti. Scarichiamo più giochi di quanti potremmo mai leggere. Apriamo più PDF di quanti potremmo mai giocare. E in questa bulimia digitale, anche solo fermarsi per lasciare una riga sembra un lusso, un’eccezione.

Ma non dovrebbe esserlo. Il paradosso è che proprio perché c’è troppo, proprio perché siamo sommersi da materiale, il feedback selettivo e autentico diventa ancora più cruciale. Aiuta a distinguere, a capire cosa risuona davvero. E soprattutto, nutre chi crea.

Perché, lasciatelo dire: i creativi non vivono di download, ma di risonanza.

Una cultura da cambiare (insieme)

Se andate a guardare su DriveThruRPG — che è uno degli store principali per i giochi di ruolo indie e non — anche titoli enormi, con migliaia di acquirenti, hanno cinque, dieci recensioni. I prodotti davvero di punta arrivano forse a venti. Non di più. È un’assurdità. È come se tutti guardassero un film e nessuno ne parlasse. Come se nessuno avesse mai voglia di dire “mi è piaciuto” o “questa parte mi ha fatto pensare”.

Non è un problema solo tecnico. È culturale. Siamo stati educati a consumare, non a rispondere. A scaricare, non a restituire. E questo andrebbe spezzato.

Non per obbligo, non per dovere morale. Ma perché è così che si costruisce un ecosistema creativo sano, reciproco, fertile.

In chiusura

Non sto facendo un appello personale. Sto dicendo che vale per tutti noi. Se una cosa ci ha toccato, anche minimamente, anche fugacemente, diciamolo. Non servono superlativi, non servono analisi. Basta poco. Una frase, un gesto, un segnale.

Perché per chi crea, quella piccola scintilla può valere più di mille numeri.

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